La regola della colpa medica è che chiunque per imperizia, imprudenza, negligenza, ovvero per inosservanza di norme nello svolgimento della professione medica cagiona ad altri lesioni, danni fisici o la morte, ne risponde penalmente e civilmente ai fini risarcitori.
Tuttavia l'art. 2236 del Codice civile stabilisce che se la prestazione implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.
Pertanto, per il danneggiato non basta la sola dimostrazione dell'errore professionale poiché, in ogni caso, occorre dimostrare la evitabilità e l'inescusabilità dell'errore.
Provare, quindi, che con un diverso comportamento professionale quel danno non si sarebbe probabilmente prodotto.
Dunque i presupposti per iniziare a parlare di responsabilità del medico o di altro professionista sono:
Tuttavia l'art. 2236 del Codice civile stabilisce che se la prestazione implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.
Pertanto, per il danneggiato non basta la sola dimostrazione dell'errore professionale poiché, in ogni caso, occorre dimostrare la evitabilità e l'inescusabilità dell'errore.
Provare, quindi, che con un diverso comportamento professionale quel danno non si sarebbe probabilmente prodotto.
Dunque i presupposti per iniziare a parlare di responsabilità del medico o di altro professionista sono:
- la prova del danno, della sua natura, della sua gravità;
- la prova della colpa professionale (imperizia, imprudenza, negligenza o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, tale che l'errore professionale sia inescusabile);
- l'accertamento del nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l'evento dannoso (la prova, cioè, che proprio tale comportamento abbia causato il danno che invece sarebbe stato evitato, oppure contenuto, adottando una diversa condotta).
Una volta valutata la documentazione in proprio possesso, nel caso in cui sia emerso un danno ricollegabile all'intervento medico, si aprirà la via del risarcimento, ricordando che,normalmente, sia i medici sia le varie strutture ospitanti sono coperti da polizze di assicurazione per tutti i danni causati a terzi nell'esercizio della professione.
Dal punto di vista penale, entro 3 mesi dal fatto ritenuto lesivo a causa dell'errore professionale, è possibile presentare querela per lesioni colpose dovute a colpa professionale medica ovvero, nel caso in cui le conseguenze dell'intervento si siano rivelate letali, per omicidio colposo.
L'azione penale comunque non è indispensabile per ottenere il risarcimento, in quanto il relativo processo tende principalmente all'accertamento della responsabilità penale del sanitario, anche se è possibile richiedere il risarcimento del danno costituendosi parte civile nel processo penale.
Infatti, a prescindere da qualsivoglia querela, processo o condanna penale, colui che lamenta di aver subito un danno a seguito del comportamento doloso o colposo del medico, potrà agire in sede civile, citando il professionista (e la struttura nella quale costui ha operato) per ottenere il risarcimento del danno subito.
Comunque, secondo gli orientamenti della giurisprudenza italiana, le prestazioni mediche sono obbligazioni "di mezzi" e non "di risultato", il che significa che il sanitario, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera e le proprie capacità tecniche al fine di raggiungere il risultato sperato, ma non si impegna a conseguirlo: da ciò deriva che se il professionista dimostra di aver eseguito l'incarico con la diligenza specifica richiesta dalla particolare natura della attività professionale che esercita (cioè la diligenza di un professionista medico di media preparazione ed esperienza, dinanzi al medesimo caso) non sarà in linea di massima considerato responsabile dell'infelice esito del suo intervento.
Però tale regola non vale per gli interventi di chirurgia estetica, compresi quelli per protesti odontoiatriche: il paziente, generalmente, vi si sottopone esclusivamente allo scopo di ottenere un effettivo miglioramento estetico e/o funzionale, di solito concordato con il professionista.
Ne consegue che laddove tale risultato non si ottenga, sarà più agevole configurare l'inadempimento del medico.
Riguardo alla responsabilità medica del professionista privato, questa è di natura contrattuale, così come degli altri componenti l’equipe medica può essere ricondotta all’ambito contrattuale ancorché non fondata sul contratto ma sul "contatto sociale" tra il professionista ed il paziente a lui affidato (cfr. Cass. 22 dicembre 1999, n. 589).
Ciò premesso si osserva che l’esercizio di un’attività professionale comporta l’assunzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ne consegue che l’esatto adempimento della medesima verrà valutato non in base al conseguimento del risultato sperato ma alla diligenza dimostrata dal professionista nell’adempimento della prestazione (cfr. Cass. 26 febbraio 2003 n. 2836).
Tale diligenza, ai sensi dell'art. 1176 comma 2° cc, va valutata sulla base dell'attività esercitata.
Ai sensi dell'art. 2236 c.c., poi, il prestatore d'opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave se la prestazione implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà.
Il combinato disposto delle norme suddette, pertanto, stabilisce che il professionista è responsabile se non osserva la diligenza richiesta nell’esercizio della propria attività e che il grado di diligenza deve essere commisurato alla difficoltà della prestazione resa.
Nella fattispecie è indubbio che l’intervento da effettuare non presentava alcuna particolare difficoltà, pertanto la diligenza del professionista nella sua effettuazione va valutata con la massima severità.
La Suprema Corte, in tema di onere della prova nelle controversie di responsabilità professionale, ha più volte enunciato il principio secondo cui quando l'intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell'aggravamento della sua situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando all'obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. 16 novembre 1988, n. 6220; 11 marzo 2002, n. 3492).
Pertanto il paziente dovrà provare che l'intervento fosse di facile esecuzione o che sia stato eseguito in maniera errata, mentre il medico dovrà provare che il caso era di particolare difficoltà oppure che l'insuccesso non sia dipeso da sua inegligenza (cfr. Cass. 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335; 16 novembre 1988, n. 6220).
Tale consolidato indirizzo giurisprudenziale va rapportato alla recente, importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533).
Le Sezioni Unite hanno enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento.
Pertanto, nella fattispecie, il paziente dovrà provare il contratto e potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento del sanitario, costituito dal sorgere di una nuova patologia o dall’aggravarsi di una patologia esistente; il professionista, invece, avrà l’onere di provare l'esatto adempimento dell’obbligazione.
Trattandosi di un’obbligazione di risultato il sanitario dovrà, allora, provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti negativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass., sez. III, sentenza n. 10297 del 28 maggio 2004).
Nessun commento:
Posta un commento